[di P. De Marco]
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Abstract
Diverse fonti storiche e ricerche contemporanee, hanno rilevato la comparsa di pandemie all’interno di un quadro ambientale compromesso.
La superstizione popolare ha, da sempre, attribuito le cause delle epidemie a divinità malefiche, a vendette divine, alla diversità religiosa, politica, sociale, o a complotti.
Oggi, per il COVID 19, si parla di virus cinese creato in laboratorio, ma già Tucidide (460 – 404 a.C.), riporta della diceria, che la peste del 430 a.C., fosse stata causata dai veleni gettati dagli Spartani.
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Mutamenti climatici e pestilenze
La relazione fra mutamenti climatici e pestilenze, è stata evidenziata per le grandi pandemie del passato, come la peste di Cipriano, quella di Giustiniano, per la Peste nera, così come per la Spagnola del 1918/’19 e per l’attuale pandemia da Covid -19.
La “peste di Cipriano”, prende il nome da San Cipriano (Tascio Cecilio Cipriano, 210-258), scrittore e martire paleocristiano, vescovo di Cartagine, che la descrisse nel suo trattato “De mortalitate”.
Come la precedente peste Antonina , si innestò su altre sciagure (guerre, invasioni, carestie, fame), mietendo, nel periodo di massima virulenza, circa cinquemila vittime al giorno, fra cui gli stessi imperatori Ostiliano (251) e Claudio il Gotico (270).
Per la sua durata e intensità dei contagi, rappresentò un duro colpo per l’Impero romano e il mondo euro-mediterraneo.
È lo stesso Cipriano, a considerare come causa della pestilenza la “riduzione delle temperature e la ridotta efficacia del sole e della stagione estiva”, in atto da qualche decennio.
Secoli dopo i climatologi hanno confermato i mutamenti climatici riportati di Cipriano.
La peste di Giustiniano (541-542), una devastante pandemia di peste da Yersinia pestis, fu preceduta da una contemporanea ed eccezionale serie di eruzioni vulcaniche avvenute in Islanda, Nord America, Papua e Nuova Guinea fra il 536 e il 540 d. C..
Le eruzioni coincisero con un minimo dell’attività solare.
I fenomeni, combinati, causarono, nella regione Eurasiatica, tra il 536 e il 660 d.C., c.a, un periodo di sostanziale raffreddamento.
Il periodo è conosciuto come la Piccola Era Glaciale Tardo Antica (PEGTA), ed è stato caratterizzato da intensi mutamenti climatici, alluvioni, caduta dei raccolti, carestie, pestilenze, sconvolgimenti politici e sociali.
La PEGTA accelerò la decadenza del mondo antico accompagnando la transizione tra il periodo storico Tardo Antico e l’Alto Medio Evo.
Un numero di morti calcolato fra i 50 e i 100 milioni, determinò lo spopolamento di intere aree geografiche; il crollo, il declino o la trasformazione, dei principali sistemi sociopolitici; lo stravolgimento dell’amministrazione e la caduta della forza militare dell’Impero Romano d’Oriente; l’intensificarsi dei movimenti migratori; lo sviluppo del primo impero arabo-islamico.
In Italia, l’arrivo e l’espansione dei Longobardi.
Secoli dopo, fra il 1346 e il 1353, un’ analoga pandemia di peste (la Peste Nera), flagellò l’Europa.
La pandemia del XIV sec. generò una mortalità del 40 – 70% dei contagiati e la scomparsa di circa un terzo degli abitanti dell’Europa.
Un’ecatombe, con un numero di morti compreso fra i 20 e i 25 milioni di persone.
L’elevato numero di decessi provocò veri e propri stravolgimenti sociali, e economici.
Prima che si ripristinassero i precedenti livelli demografici, nella maggior parte dell’Europa ci vollero circa 80 anni, in alcune aree 150.
Come accaduto precedentemente, la pandemia di Peste Nera, del XIV sec., pose fine ad un’epoca, per aprirne una nuova.
La Peste Nera, si accompagnò alle grandi carestie che hanno contrassegnato l’inizio e la durata della “Piccola Era Glaciale” (PEG).
La PEG, è un periodo della storia climatica della Terra, classificato fra la metà del XIV sec. e la seconda metà del XIX sec.
Il periodo è stato caratterizzato da un brusco e protratto abbassamento della temperatura media terrestre.
Con un andamento ad ondate, con focolai e riprese successive, la Peste nera ha imperversato nel continente Euroasiatico, per circa 600 anni, sovrapponendosi, per durata, a quello della PEG.
Una corrente del pensiero storico imputa alle conseguenze della pandemia l’avvio di quel processo che porterà alla fine del Medioevo, alla Riforma protestante e al Rinascimento.
Le epidemie di peste sarebbero continuate per molto tempo dopo la pandemia della Morte Nera del XIV secolo d.C., ma nessuna avrebbe avuto lo stesso impatto psicologico.
Secondo il Manzoni, le cattive condizioni meteo del biennio 1627-1628, furono decisive per l’ insorgenza dell’ondata di peste nera descritta nei Promessi sposi.
La Peste manzoniana, durò circa due anni, fra il 1629 e il 1630.
Arrivata probabilmente con i lanzichenecchi, causò più di un milione di morti.
Ai suoi effetti si associarono, destabilizzazione sociale, rivolte rurali, carestie, campagne abbandonate, guerre civili.
L’ epidemia ebbe come teatro, soprattutto il Nord Italia.
Manzoni, poggiandosi su documenti dell’epoca, ne descrive l’arrivo, “Sia come si sia, entrò questo fante sventurato e portator di sventura, con un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati alemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi parenti, nel borgo di porta orientale, vicino ai cappuccini; appena arrivato, s’ammalò; fu portato allo spedale; dove un bubbone che gli si scoprì sotto un’ascella, mise chi lo curava in sospetto di ciò ch’era infatti; il quarto giorno morì.
Il tribunale della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di lui famiglia; i suoi vestiti e il letto in cui era stato allo spedale, furon bruciati. Due serventi che l’avevano avuto in cura, e un buon frate che l’aveva assistito, caddero anch’essi ammalati in pochi giorni, tutt’e tre di peste. (…). Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che non tardò a germogliare. Il primo a cui s’attaccò, fu il padrone della casa dove quello aveva alloggiato, un Carlo Colonna sonator di liuto. Allora tutti i pigionali di quella casa furono, d’ordine della Sanità, condotti al lazzeretto, dove la più parte s’ammalarono; alcuni morirono, dopo poco tempo, di manifesto contagio”. (I promessi sposi, cap XXXI).
Nel mondo occidentale gli ultimi focolai urbani di Yersinia pestis sono comparsi a Los Angeles e in Australia negli anni ’20 dello scorso secolo.
A tutt’oggi, l’OMS riporta fra i 1000 e i 3000 casi di peste ogni anno, distribuiti soprattutto tra Africa, Asia e Sudamerica.
Recentemente, sono ricomparsi consistenti focolai in Kenia, Tanzania, Zaire, Mozambico, Botswana, Madagascar.
Attualmente, la peste è assente in Europa e in Australia.
Come per i periodi precedenti, fattori scatenanti sono mutamenti i climatici e carenze igieniche, cui si associano la resistenza delle pulci agli insetticidi e la debolezza dei sistemi sanitari locali.
Diversi autori hanno rilevato che la diffusione dell’epidemia da COVID-19, per i territori della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna, ha presentato un andamento sostanzialmente simile a quello della peste manzoniana, con grafici sovrapponibili.
Caratteristiche ambientali e socio-economiche sono state chiamate a pretesto per interpretarne le cause.
Recentemente, ricercatori dell’università di Cambridge hanno valutato il rapporto fra cambiamenti climatici e distribuzione globale dei pipistrelli, concludendo che questa interazione potrebbe essere la causa delle recenti epidemie da coronavirus.
Se il clima cambia, gli habitat si alterano e gli animali (e i loro virus), si spostano alla ricerca di un ambiente più adatto.
È quello che è successo nella regione della Cina meridionale, in Laos e in Myanmar, dove nell’ultimo secolo, savane e foreste di latifoglie hanno sostituito le precedenti specie tropicali, creando un ambiente particolarmente adatto a molte specie di pipistrelli, e allo spillover, il salto di specie, per cui un patogeno degli animali evolvendosi, diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana.
Nel corso dell’ultimo secolo, 40 specie di pipistrelli si sono spostate, portando con sé i propri virus.
Il confronto ha permesso di identificare proprio la regione meridionale della Cina che si sospetta essere la culla del Sars-Cov-2, come un hotspot, una zona a elevato rischio di spillover.
Altri hotspot da tenere d’occhio sarebbero alcune regioni dell’Africa centrale e dell’America centro-meridionale, dove la concentrazione di specie diverse di pipistrelli è cresciuta.
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La “peste manufatta” e la caccia all’untore
La superstizione popolare ha, da sempre, attribuito le cause delle epidemie a divinità malefiche, a vendette divine, alla diversità religiosa, politica, sociale, o a complotti.
Oggi, per il COVID 19, si parla di virus cinese creato in laboratorio, ma già Tucidide (460 – 404 a.C.), riporta della diceria, radicata nel popolo ateniese, che la peste del 430 a.C., fosse stata causata dai veleni, gettati dagli Spartani, nei pozzi che fornivano d’acqua la città.
Successivamente, Seneca, (4 a.C.- 65 d.C.), definì come “pestilenza manufatta”, le infezioni causate da azione umana, con intenti volontari.
La prassi militare di avvelenare pozzi ed alimenti, è azione di sabotaggio nota dall’antichità. Come componente di pianificazione tattica, è prevista in strategie di ritirata, o attacco, finalizzate a logorare l’avversario, sotto l’aspetto militare ed economico.
Strategie indirizzate a generare penuria di risorse e carestie, note anche come strategia fabiana, (da Quinto Fabio Massimo “il temporeggiatore” che la applicò contro Annibale), o della terra bruciata.
Come ogni azione di sabotaggio, i risultati di queste prassi sono destabilizzanti, ma i loro effetti sulle campagne militari, possono essere ininfluenti.
Nel 514 a.C., gli Sciiti l’applicarono con successo contro i Persiani di Dario il grande, i Romani, contro Annibale, i mongoli di Gengis Khan contro i genovesi di Caffa, i russi contro Napoleone e nella seconda guerra mondiale.
Le medesime strategie non cambiarono però le sorti del conflitto per i Galli di Vercingetorige contro Cesare, per i tedeschi durante la ritirata dal fronte dell’Est, per gli iracheni di Saddam Hussein durante la guerra del Golfo.
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La peste e la caccia al diverso
Come causa di “pestilenza manufatta”, sono state accusate etnie, credenti, classi sociali, oppositori politici, emarginati, vagabondi, ma anche alchimisti, stranieri, eretici, farmacisti, re, religiosi e medici.
Con la lotta all’untore, la superstizione popolare, a volte, è stata artificiosamente alimentata per interessi di parte, eliminare oppositori, conquistare potere, sovvertire regimi, altre volte, alimentare paure irrazionali e violenze inaudite.
Reazioni alimentate da paure ataviche, matrici di fenomeni che periodicamente ricompaiono nella storia umana.
Dall’insorgenza della peste nera, fino alla “Spagnola”, era in auge la credenza che ci fossero degli “untori”, che usando materie untuose, polveri e altri preparati propagassero la malattia.
Una triste conseguenza dell’ondata di peste nera del periodo medioevale, è stata l’esplosione dell’antisemitismo religioso, e della persecuzione della diversità sociale.
Un grosso aiuto nell’aizzare le folle fu dato dal movimento dei flagellanti, gruppi di penitenti che viaggiavano di città in città frustandosi per espiare i loro peccati.
Il movimento, nato in Austria, trovò impulso in Germania e Francia. Questi gruppi, guidati da un autoproclamato Maestro, non solo contribuirono a diffondere la peste, ma svolsero anche un ruolo distruttivo verso le comunità.
Un uso distorto e scellerato della tradizione biblica e religiosa, alimentò violente persecuzioni contro stranieri e gruppi di emarginati come gli ebrei, i rom, i lebbrosi e altri.
Categorie accusate di diffondere la peste avvelenando, pozzi, fonti, animali.
Contro gli Ebrei, che già si erano macchiati della morte di Cristo, trovò sfogo una ostilità, a lungo covata nell’animo delle popolazioni cristiane.
L’accusa cominciò a circolare agli inizi del 1348, in una delle fasi di maggiore devastazione dell’epidemia: in Savoia degli ebrei accusati di diffondere la peste, sotto tortura, avevano ammesso questo reato. Per una serie di motivi storici, (l’allora debole autorità della Chiesa e dello Stato nell’area, la presenza del movimento dei flagellanti, etc.), i massacri, iniziati nella regione intorno al lago di Ginevra e al Reno, si diffusero, rapidamente, in Alsazia, Svizzera, Germania e altre zone della Francia, per poi proseguire in altri Paesi dell’Europa.
In città come Basilea, Spira, Magonza, Worms, Colonia, Salisburgo, vi furono eccidi e violenze di massa, che per ferocia ed estensione, sono considerati l’origine dei successivi pogrom.
Nel gennaio 1349, a Basilea, il popolo, incurante delle misure emanate dalle autorità, si scatenò con linciaggi e uccisioni, bruciando case ed ebrei vivi.
A Strasburgo vennero uccisi 900 dei 1884 ebrei residenti. I fatti avvennero nel febbraio del 1349: la peste ancora non aveva raggiunto la città.
Anticipando reazioni che sarebbero ricomparse nel corso dei secoli successivi, a Worms, a Francoforte e a Magonza centinaia di ebrei preferirono darsi la morte appiccando il fuoco alle loro case piuttosto che finire nelle mani della folla.
Lo stesso papa Clemente VI intervenne, con scomuniche, a proteggere la popolazione ebraica, ma i suoi appelli caddero nel vuoto dell’isteria generale.
L’intensità delle violenze proseguì per tutto il 1349.
Le ultime ebbero luogo ad Anversa e Bruxelles.
Quando l’ondata di peste cessò, tra Germania e Paesi Bassi erano rimasti in vita pochi ebrei.
Altri, fra i pochi sopravvissuti, erano fuggiti, rifugiandosi anche in Italia settentrionale, rimasta sostanzialmente immune dal fenomeno, in particolare nelle comunità di Venezia, Ferrara e Mantova.
Nelle medesime comunità, un particolare accanimento fu rivolto verso le donne, accusate di aver generato, con l’Eva biblica, il peccato originale, di incoraggiare il peccato e praticare la stregoneria.
L’ondata di peste nera, lasciò l’Europa, ma l’accanimento contro la diversità sociale, è rimasto.
Ebrei, stranieri, viandanti poveri, oppositori, streghe, soggetti che vivevano ai margini della società, minoranze religiose e razziali, gli stessi cristiani, i musulmani, nei secoli successivi, sono stati, accusati di essere causa e veicoli di pestilenze e contagi.
E’ il fenomeno del capro espiatorio, manifestazione risalente ai riti magico-religiosi degli albori della civiltà, in cui un fattore esterno dal sé, o dalla collettività, viene scelto come “oggetto cattivo” su cui scaricare le responsabilità del dramma e la collera vissuta.
Durante il Risorgimento, le monarchie e la Chiesa accusavano come untori i liberali e i patrioti, aizzandovi contro la popolazione.
Gli oppositori, però, non erano da meno.
Ai tempi dell’epidemia da colera del 1836-’37, nel Meridione d’Italia, il governo borbonico fu incolpato di diffondere il colera per uccidere i meridionali e controllare la popolazione del Regno delle Due Sicilie.
Fautore di questa denuncia fu Mario Adorno, rispettato avvocato e intellettuale di Siracusa, che riuscì a convincere mezza Italia che il colera fosse stato diffuso da una setta segreta che manovrava le monarchie europee per creare un nuovo ordine mondiale.
A capo della setta c’erano l’Austria o la Francia, di cui Ferdinando II, re delle Due Sicilie, sarebbe stato un “soldato”.
Emissari del regno provenienti da Napoli e dai centri delle province, giravano per il Regno, pronti ad avvelenare le acque.
La situazione degenerò presto in rivolte armate e cacce agli untori: i cittadini di alcuni paesi della Calabria si organizzarono con turni armati per impedire a forestieri di accedere al paese; in città come Catania e Siracusa furono istituite amministrazioni autonome che dichiararono “deposto il re avvelenatore”.
Alla fine, dopo una feroce repressione condotta dal famigerato generale Del Carretto, lo stesso Adorno fu condannato a morte perché “diffondeva voci contro il governo ed era anche un avvelenatore”. (Ci risiamo con la teoria degli untori!)
Circa 20 anni dopo, nel 1857, Carlo Pisacane e il manipolo rimasto dei suoi 300, furono sterminati fra i boschi di Sanza, un paesino dell’entroterra cilentano, dalla popolazione che il parroco aveva sobillato, contro “una banda di briganti che calava su Sanza per spogliarvi le case, oltraggiare le donne, attaccare il colera”.
Con l’arrivo dei vaccini, le cause dell’irrazionale e incontrollabile violenza delle folle, non sono state debellate, anzi, irrobustite da motivi ideologici e razzisti. Le paure della contaminazione, del contagio “manufatto”, risultano ancora presenti.
In Italia, rivolte e caccia agli untori avvennero ancora nel 1910-1911, durante una epidemia di colera, quando, nei territori del Mezzogiorno, folle inferocite si scagliarono contro medici, amministratori e lo stesso re, accusati di voler sterminare la povera gente, diffondendo con una “polveretta” il morbo del colera.
Pochi anni dopo, la “Spagnola”, la spaventosa pandemia che accompagnò in Europa la conclusione del primo conflitto mondiale, fu attribuita, sia in Italia sia negli altri Paesi alleati, a conseguenze della guerra batteriologica condotta dai tedeschi.
Negli Stati Uniti, si arrivò alla fucilazione di ufficiali e infermieri della sanità accusati di aver inoculato la malattia nelle truppe.
Negli stessi Stati Uniti, i componenti del Ku Klux Klan, dalla fondazione del movimento, indossano le tuniche bianche con il cappuccio, sul modello delle confraternite penitenziali cattoliche come fu quella dei flagellanti.
A tutt’oggi, forze estremiste islamiche, hanno accusato gli ebrei di diffondere l’AIDS.
Per la malattia COVID-19, molti sono dell’opinione che la pandemia sia una peste manufatta, originata da precise volontà di egemonia economica e militare.
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